Nelle scorse settimane, ventidue procuratori generali di altrettanti Stati degli Usa hanno presentato appello contro la disposizione varata a dicembre dal Governo Trump, ovvero la mossa con cui la Federal Communications Commission, l’ente regolatore delle comunicazioni negli States, ha annullato il regolamento sulla netneutrality approvato nel 2015. Secondo i procuratori, la norma sarebbe illegale e assunta in modo “arbitrario e capriccioso”, come si legge nella petizione inviata alla Corte d’Appello degli Stati Uniti per chiedere una revisione.
Cosa cambia negli Stati Uniti
Le linee guida in vigore dal 2015 (quando alla Casa Bianca sedeva Barack Obama) stabilivano che i fornitori di accesso a Internet sono servizi di telecomunicazione assimilabili alle utility; nella nuova versione, il provvedimento abolisce la “neutralità” di rete e soprattutto la regolamentazione del settore, così come in qualche modo “richiesto” dai fornitori di banda larga. I contrari alla legge, e al presidente Trump, sostengono che in questo modo le compagnie hanno non solo la possibilità di decidere in maniera arbitraria (per meglio dire, in base agli introiti) chi passa e chi non passa sulle loro reti, ma anche quella di sentirsi autorizzati a “mettere i profitti davanti agli interessi dei consumatori, controllando al tempo stesso che cosa vediamo, che cosa facciamo e che cosa diciamo online”.
Le polemiche sulla Net Neutrality
Tra le principali voci critiche c’è innanzitutto Mozilla, la nota organizzazione che ha inventato il browser Firefox, che in varie circostanze ha lanciato l’allarme su come questa decisione possa incidere sul futuro di molte attività imprenditoriali, favorendo chi ha più disponibilità economiche e penalizzando le start-up; molto scettici anche associazioni come Free Press e Public Knowledge, così come il think tank di orientamento liberal New American Foundation.
Discriminazioni per gli utenti?
Alla base del problema ci sono fattori di tipo “filosofico” e imprenditoriale sulla Rete: nell’accezione più inclusiva, il Web (e la rete intesa anche dal punto di vista infrastrutturale) non devono prevedere discriminazioni, e l’accesso non può essere vincolato alle possibilità di acquisire contenuti “extra” o più velocità di navigazione e download. Ma se negli Stati Uniti la neutralità della rete è a rischio, qual è invece la situazione in Italia?
La neutralità in Italia
Nel nostro Paese la materia è regolamentata dalla Dichiarazione dei Diritti in Internet del 2015, in cui è stabilito che i dati trasmessi e ricevuti via Internet non debbano subire restrizioni o interferenze; sempre lo stesso atto definisce la neutralità della rete una condizione necessaria per garantire i diritti fondamentali della persona. Si tratta, a ben vedere, di una doppia garanzia a tutela dei diritti delle persone e degli utenti del Web, che slega il servizio da qualsiasi tipo in influenza “esterna”.
Le scelte per gli utenti
In termini pratici, questo presupposto consente al cliente di sottoscrivere un abbonamento qualsiasi ai servizi telefonici o di Rete senza che ci siano differenze particolari; a ben vedere, l’elemento dirimente è la tecnologia che i provider utilizzano per la connessione, ovvero la fibra, la rete Adsl o la moderna infrastruttura fixed wireless che ad esempio contraddistingue le proposte di Eolo, operatore che sta conquistando con le sue offerte solo adsl fette di mercato sempre più ampie.
Anche l’Ue conferma la neutralità di rete
Un’ulteriore livello di garanzia per i cittadini arriva dall’Unione Europea, che nello scorso aprile ha varato il nuovo regolamento sulle telecomunicazioni, in cui tra le altre cose si obbliga anche tutte le aziende di telecomunicazioni a trattare il traffico dati in maniera equivalente, salvo poche eccezioni. In definitiva, a meno di rivoluzioni (o scenari “apocalittici”) in Europa e in Italia la rete resta libera e aperta come l’avevano intesa i suoi creatori.